Il ruolo consultivo e interlocutorio del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) va tenuto funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale, soprattutto da quello datoriale.
Il rischio è che si incrocino posizioni e funzioni con compiti strutturalmente differenti, che devono cooperare su piani diversi, decisionale il primo, consultivo il secondo.
La confusione dei ruoli, di per sé, è indice di un "colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro".
E' stata definitivamente confermata, dalla Cassazione, la condanna penale impartita a un imprenditore per il delitto di omicidio colposo aggravato commesso in danno di un dipendente, morto a seguito di un infortunio sul lavoro.
All'uomo era stato contestato di avere, nella qualità di legale rappresentante di una Spa, di direttore di stabilimento nonché di responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella medesima società, cagionato, per colpa generica e specifica dovuta alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, la morte di un operaio, incaricato di effettuare la manutenzione e la pulizia di un macchinario.
Lo stesso si era rivolto alla Suprema corte contestando la qualifica di datore di lavoro lui attribuita e ponendo in rilievo, per confutare le conclusioni di merito, una delibera del consiglio di amministrazione che invece affidava allo stesso solo compiti di ordinaria amministrazione.
Con sentenza n. 16562 del 29 aprile 2022, la Corte di cassazione ha respinto le predette doglianze, dopo aver premesso che, nel caso in esame, verificatosi nel 2006, la normativa applicabile ratione temporis era dettata dalla previgente normativa sulla sicurezza del lavoro ma che le norme riguardanti il fatto per cui si procedeva si ponevano in continuità normativa con le parallele disposizioni poi subentrate con il D. Lgs. n. 81/2008, di talché i motivi di ricorso ben potevano essere vagliati anche alla luce della giurisprudenza formatasi sull'attuale testo unico sulla sicurezza del lavoro.
Con specifico riguardo al motivo di ricorso sulla qualifica di datore di lavoro, gli Ermellini hanno ritenuto che la Corte di merito avesse compiutamente individuato nell'imputato, quale soggetto rappresentante legale della società, la figura del datore, che aveva anche avuto sostanzialmente l'esercizio dei poteri decisionali e di spesa.
La richiamata delibera con cui erano stati attribuiti, allo stesso, i compiti di ordinaria amministrazione, non valeva ad escludere la sua responsabilità in materia di sicurezza.
A ben vedere, infatti, l'atto di nomina in esame officiava il deducente della qualifica di amministratore delegato e di rappresentante legale della Spa, e non poteva dubitarsi, ciò considerato, che egli avesse maturato la qualifica di datore. I giudici di merito, inoltre, avevano conformemente ed in modo esauriente ricostruito, in capo all'imputato, anche la qualifica di direttore di stabilimento con ampia capacità gestoria dell'intera azienda.
In presenza di tutte tali attribuzioni, doveva riconoscersi che il ricorrente aveva avuto l'esercizio di potestà funzionali organizzative, decisionali, gestionali e di spesa, inclusa la realizzazione delle misure di sicurezza previste per legge.
La competenza per le spese di ordinaria amministrazione, in ogni caso, non soltanto non era idonea a far venir meno la qualifica datoriale, ma certamente non escludeva il potere di spesa in materia di sicurezza, essendo obbligo prioritario e ordinario, non straordinario, occuparsi delle misure di prevenzione e protezione in materia di sicurezza.
La considerazione, poi, che l'imputato, alla qualifica datoriale, formale e sostanziale, avesse impropriamente cumulato quella di RSPP contribuiva a costituire, in capo al medesimo soggetto, un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia, di adempimenti datoriali.
Sebbene, infatti, la qualità di datore di lavoro e quella di RSPP, in relazione alle dimensioni dell'azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, aver unificato entrambe le funzioni, per scelta, contribuiva:
- da un lato, a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro;
- dall'altro, a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro.
Il cumulo dei diversi ruoli - in un caso non previsto dalla normativa vigente all'epoca dei fatti - laddove tali ruoli secondo l'architettura normativa tipica avrebbero dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, e invece erano stati confusi, deponeva per una "colpevole opacità e disfunzione organizzativa".
Si era trattato - per la Quarta sezione penale della Cassazione - "di un duplice profilo causale colposo che nel caso concreto ha manifestato tutta la sua nocività e ha ingenerato da parte dei lavoratori un incolpevole e legittimo affidamento sul corretto svolgimento dei ruoli e sull'esercizio dei poteri inerenti alle diverse posizioni di garanzia"
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