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02-03-2022/14:59:00 Visitato: 536
Lecito il controllo del computer aziendale da parte del datore per verificare se il dipendente lavora

 Al datore di lavcoro, nel suo ruolo gestionale nell’ambito del rapporto di lavoro, sono riconosciute determinate prerogative, tra cui:

– impartire direttive al lavoratore riguardanti lo svolgimento dell’attività lavorativa, (c.d. potere direttivo): ad es. stabilire l’orario o il luogo di lavoro;

– verificare se effettivamente il lavoratore esegue le direttive impartite (c.d. potere di controllo);

– comminare sanzioni disciplinari, fino ad arrivare al licenziamento, quando dai controlli effettuati emerge che il lavoratore non ha eseguito le direttive impartite e non abbia svolto l’attività diligentemente (c.d. potere disciplinare).

Dall’altro lato, il lavoratore ha l’obbligo di eseguire le direttive e prestare la propria attività in maniera diligente, dietro il versamento di adeguata retribuzione.

Appare necessario però comprendere entro quali limiti il datore di lavoro possa esercitare detti poteri, in particolare gli ultimi due.

Sul punto si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione Sezione Lavoro con sentenza del 9 novembre 2021, n. 32760 offrendo un’interpretazione dell’art. 4 della L.300/1970 alla luce dell’introduzione del D.lgs. 151/2015, più comunemente noto come Jobs Act.

La Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della sanzione disciplinare comminata da una nota azienda di moda nei confronti del proprio dipendente. Nello specifico, con sanzione disciplinare del 21 febbraio 2012, quest’ultimo era stato sospeso dal servizio e dalla retribuzione per un giorno per aver utilizzato il computer aziendale per effettuare una serie di accessi a siti commerciali e ludici, durante l’orario di lavoro.

Tanto il Tribunale che la Corte d’Appello ritenevano la condotta dell’azienda illegittima con conseguente condanna della stessa all’annullamento delle sanzioni, non soltanto per la rilevata mancanza di un accordo sindacale, previsto ai sensi dell’art. 4, comma 2 L.300/70 (ante Jobs Act) ma anche per non aver la stessa provato che il controllo era volto a salvaguardare il patrimonio aziendale: veniva dedotto, quindi, che i dati, usati per contestare la violazione dell’obbligo di diligenza, erano stati acquisiti illegittimamente.

La Cassazione, sposando quanto già stabilito dalla Corte d’Appello, ha rigettato il ricorso presentato dall’azienda, rilevando che nella formulazione dell’art. 4 L.300/70, previgente al Jobs Act ed applicabile al caso di specie ratione temporis, era previsto, in capo al datore di lavoro, il divieto di utilizzo di sistemi audiovisivi e altre apparecchiature atte a realizzare un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e la necessità, laddove questo derivasse indirettamente dall’uso di apparecchiature volte a rispondere ad esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, un accordo con le rappresentanze sindacali (art. 4, comma 2).

Hanno aggiunto inoltre gli Ermellini, seguendo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario sul punto, che detto accordo sindacale risulta necessario anche ai fini dell’installazione di impianti atti ad effettuare i c.d. controlli difensivi, ossia volti ad accertare eventuali condotte illecite imputabili al dipendente specificando, altresì, l’esclusione del loro impiego per provare l’inadempimento contrattuale di questo.

La norma prevede infatti che: “1) È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. 2) Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti”.

Con riferimento al caso di specie, la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha rigettato il ricorso dell’azienda avendo rilevato che i dati raccolti dalla stessa, attraverso il computer fornito al dipendente per svolgere la propria attività lavorativa, erano stati usati per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore.

Il particolare interesse suscitato dalla sentenza deve essere attribuito al fatto che la Corte di Cassazione, oltre a dirimere la controversia, ha fornito un’interpretazione dell’art.4 L.300/1970 alla luce delle modifiche apportate dal Jobs Act.

L’attuale art. 4, nei due commi che qui interessano, prevede che: “1) Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. 2) La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.”

La Corte, interpretando la norma così come modificata, ha ammesso la possibilità per il datore di lavoro di usare i dati ottenuti attraverso gli strumenti in dotazione al dipendente per svolgere l’attività lavorativa (per es. computers, telefono, tablet) o di rilevazione degli accessi (per es. lettori badge) per valutare la diligenza del lavoratore nell’adempimento dei propri doveri contrattuali.

Nel dettaglio si legge: “È bene chiarire che i fatti oggetto di causa sono precedenti l’entrata in vigore del Dlgs 14 settembre 2015, n. 151 che ha modificato in senso più restrittivo l’art. 4 L. 300/1970, stabilendo che “la disposizione di cui al comma 1 (gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. (…) dopo il cd. Jobs Act, gli elementi raccolti tramite tali strumenti possono essere utilizzati anche per verificare la diligenza del dipendente nello svolgimento del proprio lavoro, con tutti i risvolti”.

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