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20-02-2022/20:11:00 Visitato: 46
Assenza per covid e comporto

Il periodo di quarantena o di isolamento fiduciario - di cui all’articolo 26, D.L. n. 18/2020 - non è computabile ai fini del periodo di comporto indipendentemente dal fatto che riguardi i soggetti che hanno avuto contatto con casi confermati di contagio o soggetti risultati positivi al virus. Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Asti con l'ordinanza 5 gennaio 2022.

I fatti

Il Tribunale di Asti, con ordinanza del 5 gennaio 2022, ha accolto l’impugnazione proposta da una lavoratrice avverso il licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogatole con lettera del 4 dicembre 2020 dal proprio datore di lavoro, avendo quest’ultimo stigmatizzato il superamento dei giorni validi per la conservazione del posto di lavoro.

Segnatamente, alla data di licenziamento, la lavoratrice avrebbe maturato 183 giorni di malattia nell’anno solare a fronte dei 180 giorni disposti a garanzia della conservazione del posto di lavoro dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i Dipendenti di Aziende del Terziario, Distribuzione e Servizi – art. 186).

Tuttavia, la lavoratrice ha prontamente impugnato detto licenziamento dapprima – come di rito – in via stragiudiziale e, in seguito, adendo il Tribunale di Asti in veste di Giudice del Lavoro.

A fondamento della propria domanda, la lavoratrice ha dedotto che, dal totale dei giorni di malattia maturati nell’anno solare e calcolati dal datore di lavoro, avrebbero dovuto essere decurtati quelli intercorrenti tra il 25 novembre 2020 ed il 4 dicembre 2020 per due ordini di ragioni:

tale periodo avrebbe dovuto essere “considerato come infortunio sul lavoro, avendo la ricorrente contratto il Covid-19 nel luogo di lavoro, con conseguente non computabilità dell’assenza ai fini del superamento del comporto, ai sensi dell’art. 188 del CCNL Terziario e delle previsioni di cui all’art. 42 del d.l. 18/2020”; e, secondariamente,

“il predetto periodo andrebbe escluso dal computo ai fini del comporto in quanto qualificabile come “quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva” ex art. 26, comma 1, del d.l. 18/2020” (la norma richiamata ne prevedeva l’esclusione dal periodo di comporto).

La lavoratrice ha (chiaramente) provato documentalmente che le proprie assenze erano legate alle ragioni di quarantena.

In contrapposizione, il datore di lavoro, costituendosi in giudizio, ha sostenuto che dovesse escludersi l’applicabilità del citato art. 26, comma 1, D.L. n. 18/2020 alla vicenda in esame posto che la tutela della norma doveva riferirsi soltanto ai periodi di quarantena “per gli individui che hanno avuto stretti contatti con casi confermati e alla permanenza domiciliare per gli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettere h)  e  i) del  d. l. 6/2020 e non anche alle fattispecie di assenza dal posto di lavoro per malattia Covid-19”.

L’iter logico-argomentativo del Tribunale di Asti

Il Tribunale di Asti ha accolto il ricorso della lavoratrice riscontrando piena simmetria tra le argomentazioni da ella proposte e la ratio sottesa alla normativa emergenziale.

Il Giudice giunge alle proprie conclusioni dopo aver ripercorso i tratti normativi di volta in volta tracciati dal legislatore al fine di gestire e contenere la diffusione del Covid-19.

Ed è in quest’ottica che, a parer del Giudice, deve essere letto il più volte citato art. 26, comma 1, del d.l. n. 18/2020 – nella sua versione ratione temporis – ossia, quale norma generale in veste coordinatrice verso una serie di misure di contenimento della diffusione del virus applicabili dalle autorità competenti, dapprima con riferimento a specifiche zone e poi per l’intero territorio nazionale. Ne sono esempi – di misure di contenimento – (i) la “quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva”, (ii) la “permanenza domiciliare con sorveglianza attiva”, o ancora il “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora…”.

Alcune di esse, come anticipato, sono state di volta in volta modificate, integrate, o addirittura abrogate, meccanismo attraverso cui è stata resa possibile una pronta evoluzione normativa capace di garantire l’attualità dei propri precetti in relazione allo scenario pandemico, anch’esso in costante evoluzione.

Ed è questo lo snodo interpretativo su cui si fonda il convincimento del Giudice.

Infatti, l’ordinanza in commento non si esime dal rilevare che “il riferimento alle misure di quarantena e isolamento fiduciario – effettuato attraverso il richiamo a specifiche disposizioni di legge, talune delle quali poi abrogate … e in ogni caso ripetutamente modificate alla luce dell’evoluzione della situazione epidemiologica – deve intendersi comprensivo di tutte le misure che sono state nel tempo normativamente previste per arginare la diffusione del virus, e quindi sia quelle legate al mero contatto con casi confermati di malattia o di rientro da zone a rischio epidemiologico sia quelle connesse alla positività al virus Covid-19”.

Dunque, stante il mutamento delle misure di prevenzione, l’unico filo conduttore di tutta la normativa (giuslavoristica) emergenziale deve ricercarsi nell’indiscussa esigenza, da un lato, di impedire la diffusione dei contagi e, dall’altro, di non far ricadere sui lavoratori le conseguenze di assenze dal lavoro riconducibili causalmente alle citate misure di prevenzione e contenimento.

Ed è proprio facendo leva su tale chiave di lettura normativa che l’ordinanza offre un passaggio motivazionale di particolare interesse. Segnatamente, il Giudice, in privilegio della ratio normativa in tutela dei lavoratori, ha affermato testualmente che “il legislatore, con la previsione di cui all’art. 26 comma 1 d.l. 18/2020, ha inteso tutelare quei lavoratori che sono costretti a rimanere assenti dal lavoro in quanto attinti dalle misure di quarantena e di isolamento fiduciario prevedendo, da un lato, l’equiparazione di detta assenza alla malattia e, dall’altro, escludendone la computabilità ai fini del periodo di comporto”.

Pertanto, come legittima conseguenza del ragionamento privilegiato, ai fini di computo del comporto, devono escludersi tutte le assenze dal lavoro che trovino la loro ragione in ogni misura di quarantena e isolamento fiduciario nei casi di possibili o acclarati contagi dal virus e, in ogni caso, a prescindere dallo stato di malattia, che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici).

Applicando tutte le suesposte considerazioni alla vicenda in esame, il Giudice ha stabilito che il limite di giorni per la conservazione del posto in tema di comporto non è stato oltrepassato dalle assenze per malattia.

Pertanto, ai sensi del combinato disposto dei commi quarto e settimo dell’art. 18, L. n. 300/1970, il Tribunale di Asti ha annullato il licenziamento condannando, di talché, il datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

A chiusura della propria ordinanza, il Giudice ha riconosciuto la “assoluta novità delle questioni trattate e mancanza di precedenti” e, per tale ragione, ha disposto che le spese di lite venissero compensate.

Conclusioni

Analizzando l’iter logico-argomentativo proposto dal Tribunale di Asti, si è avuto modo di osservare che il compito affidato alla normativa giuslavoristica targata Covid-19 e, in particolare, all’art. 26, D.L. n. 18/2020, è individuabile nella necessità di tutelare e non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore, e ciò “in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio”.

Anche se una siffatta interpretazione normativa non ha goduto, precedentemente all’ordinanza in commento, della sufficiente affermazione, sembra verosimile che possa rappresentare una sapiente visione applicativa idonea a definire – e superare – gran parte dei contrasti esegetici.

I contrasti, purtroppo, saranno inevitabili essendo numerose le vicende che, nel campo applicativo, possono venire a crearsi. Ciò, a causa del calderone di norme emanate in epoca pandemica, spesso contrastanti o incongruenti tra loro e, ancor più spesso, modificative e/o abrogative di norme precedenti.

Ne deriva (presumibilmente) la contrapposizione, da un lato, dei datori di lavoro con le proprie scelte di gestione organizzativa aziendale e, dall’altro, dei lavoratori in vanto e difesa dei propri diritti (tra cui, quello – più importante – di non essere licenziati, men che mai se sono impossibilitati dal rendere la propria prestazione lavorativa per espressa previsione di un’altra normativa applicabile).

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