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27-01-2015/00:00:00 Visitato: 1428
Licenziamento disciplinare: legittimo in caso di patteggiamento

Come noto, il licenziamento disciplinare deve fondarsi su un motivo socialmente giustificato e cio� su una condotta del lavoratore che faccia venir meno, in modo irrecuperabile, la fiducia del datore di lavoro nelle sue capacit� e nella sua lealt�. La giusta causa di licenziamento (come si definisce, appunto, in gergo tecnico, il licenziamento disciplinare) � presente, in particolare, tutte le volte in cui il lavoratore tenga un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto. Capita a volte che questo fatto cos� grave non sia commesso sul lavoro bens� in un contesto extra-aziendale e cio� nella vita privata del lavoratore. In questi casi il licenziamento � legittimo solo se il comportamento incriminato tenuto all’esterno dell’ambito lavorativo sia tale da far dubitare il datore di lavoro della seriet�, correttezza e affidabilit� del lavoratore anche nello svolgimento delle sue mansioni o comunque sia lesivo in modo irrimediabile dell’immagine aziendale.

Una delle ipotesi pi� diffuse di licenziamento per giusta causa per motivi legati alla condotta extra-aziendale del lavoratore � la commissione di un reato nella vita privata (si pensi al caso del dipendente bancario che emette un assegno a vuoto).

La domanda da porsi in questi casi �: come si raggiunge la prova della commissione del reato in sede disciplinare? � pacifico che la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento prova la sussistenza del fatto e che l’imputato l’ha commesso. Pi� discussa � per� l’efficacia della sentenza di patteggiamento. In altre parole non � sempre chiaro se la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti sia da sola sufficiente a fornire la prova del fatti o a fini disciplinari.

La questione � sempre stata discussa.

Un primo orientamento pi� rigoroso sosteneva la piena equiparazione tra sentenza di condanna e patteggiamento: per cui anche la semplice sentenza di applicazione della pena costituiva “una condanna a morte” a fini disciplinari.

Un altro orientamento invece [1] affermava che in tema di effetti del giudicato penale sulla responsabilit� disciplinare dei dipendenti pubblici, l’efficacia delle sentenze di patteggiamento fosse pi� limitata. Tale sentenza accerta infatti solo l’insussistenza, allo stato, delle cause di non punibilit� ovvero di estinzione del reato (morte de reo, prescrizione…) e non sarebbe quindi da sola sufficiente a giustificare il licenziamento. Dovr� essere il datore di lavoro a fornire ulteriori prove del fatto illecito contestato.

�La Corte si Cassazione in una recente pronuncia [2] ha confermato la tesi pi� rigorosa. Nel caso esaminato la ricorrente aveva impugnato il licenziamento intimatole dal Ministero dell’economia e delle finanze dopo essere venuto a conoscenza di una sentenza di patteggiamento emessa qualche anno prima nei confronti della lavoratrice. Il ricorso � stato tuttavia rigettato: alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si deve riconoscere efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilit� penale. Il patteggiamento � infatti parificabile a questi fini alla sentenza irrevocabile di condanna. Nel caso concreto dunque, considerando che il contratto collettivo applicabile consentiva al datore di lavoro di licenziare il dipendente che avesse riportato una “sentenza di condanna”, i giudici, ispirandosi al comune sentire, hanno parificato la sentenza di patteggiamento a quella di condanna.

La Cassazione ha pertanto chiarito che la sentenza di patteggiamento ha valenza indiziaria dei fatti addebitati nel penale anche a livello di responsabilit� disciplinare. Con la sentenza di patteggiamento, infatti, l’imputato non nega la propria responsabilit� ma, anzi, esonera l’accusa dalla relativa prova. In questi casi dunque il datore di lavoro non sar� tenuto a fornire prove ulteriori dell’accadimento del fatto illecito contestato. Sar� piuttosto il lavoratore interessato a dover fornire tutte le prove necessarie, davanti al giudice del lavoro, per contestare i gravi indizi della sua colpevolezza.

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