E’ vero che il lavoratore può ottenere il risarcimento del danno biologico anche nel caso in cui la sua salute sia stata compromessa da un impegno eccessivo di lavoro?
Una sentenza della Corte di Cassazione (n.8267/97) ha affermato che il datore di lavoro è responsabile, ai sensi dell’art.2087 c.c., nei confronti del lavoratore dipendente, nel caso in cui quest’ultimo abbia subito una compromissione della salute determinata da un impegno eccessivo sul lavoro, ricollegabile a un numero di dipendenti insufficiente.
Secondo la Corte di Cassazione, la ricerca di livelli competitivi di produttività non può compromettere l’integrità psico-fisica del lavoratore; da questo principio viene fatto discendere il conseguente dovere dell’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e psichica del lavoratore, compreso un organico adeguato al volume di produzione dell’azienda stessa.
Anche se il dipendente accetta di lavorare troppo, svolgendo una consistente mole di lavoro straordinario, pur nei limiti fissati dalla contrattazione collettiva, ciò non esime il datore di lavoro dal dovere di limitare questo sforzo eccessivo. Le risorse umane insomma debbono essere sufficienti a consentire un impegno lavorativo non eccessivo e comunque non pregiudizievole alla salute; se necessario, al fine di evitare che l’usura fisica e psichica determini danni alla salute del dipendente, l’organico aziendale deve essere rivisto e adeguato a un impegno sopportabile per tutti i dipendenti.
Anche se apparentemente eversivo, in termini di interferenza della Magistratura nella libertà d’impresa (art.41 Cost.) e quindi nella libertà dell’imprenditore di organizzare come meglio crede la propria azienda, il principio affermato dalla Cassazione non è altro se non un’applicazione concreta della norma contenuta nell’art.2087 c.c., secondo il quale "L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro".
Non si deve pensare che, in questo modo, si lascia decidere ai giudici le dimensioni dell’organico aziendale; piuttosto, la sentenza sopra citata mette a fuoco il dovere dell’imprenditore di darsi una struttura tale da evitare che uno o più lavoratori dipendenti siano costretti a fornire un apporto lavorativo che possa determinare danni alla salute, a causa dell’impegno eccessivo. In questo senso, nessun organico aziendale può essere predeterminato da un soggetto terzo; è lo stesso imprenditore che è tenuto a verificare costantemente la congruità del suo organico, per ampliarlo nei casi in cui ciò risulti necessario per impedire la lesione di un bene riconosciuto fondamentale dalla Costituzione (art. 32), quale la salute dei lavoratori dipendenti.
Il principio enunciato dalla Cassazione è ovviamente applicabile in ogni settore aziendale e in ogni tipo di mansione e funzione, e può dunque riguardare sia l’operaio che l’impiegato, sia il funzionario che il dirigente.