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08-04-2022/12:32:00 Visitato: 679
Dalla UE stop al segreto salariale

Il Parlamento Europeo è pronto a dare inizio ai negoziati con i Paesi membri in merito ai contenuti della Direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni.

L’intento è quello di abolire il segreto salariale contenuto nelle clausole contrattuali, così come di eliminare tutte le situazioni che possano impedire ad un lavoratore di divulgare la propria posizione economica o di conoscere quella dei colleghi. Le aziende saranno chiamate a pubblicare i dati sugli stipendi per genere con le informazioni sui divari retributivi esistenti. Il tutto per colmare un gap ancora presente in Europa: le donne Ue, infatti, guadagnano di media il 14% in meno degli uomini per lo stesso lavoro

A questo si aggiunge lo spostamento dell'onere della prova, con l'azienda che dovrà dimostrare il rispetto del principio della parità di retribuzioni.

«Nel testo adottato», si legge sul sito del Parlamento europeo, «i deputati affermano di voler abolire il segreto salariare nelle clausole contrattuali». La proposta, come accennato, riguarda le aziende con almeno 50 lavoratori, che dovrebbero vietare «le condizioni contrattuali che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione, ed invece divulgare ogni divario retributivo di genere esistente al loro interno. Gli strumenti per la valutazione e il confronto dei livelli retributivi e i sistemi di classificazione professionale devono basarsi su criteri neutrali sotto il profilo del genere». Se le informazioni sulle retribuzioni rivelano un divario retributivo pari o superiore il 2,5%, i datori di lavoro, in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, «dovrebbero» condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d'azione per garantire la parità. Viene poi proposto di creare una denominazione ufficiale per le aziende che non presentano un divario retributivo di genere, in modo da valorizzare il loro comportamento.

Oltre ad aggiungere nuovi obblighi informativi per le aziende, la proposta di direttiva mira a cambiare anche il concetto dell'onere della prova, spostandolo dal lavoratore al datore di lavoro: «nel caso cui un lavoratore ritenga che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e porti il caso in tribunale, la legislazione nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a provare che non ci sia stata discriminazione, piuttosto che il lavoratore», si legge ancora sul sito del Parlamento Ue.

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