Attualmente il potere di convocare l'assemblea sindacale, oltre alle r.s.a. laddove ancora previste, è esercitato dalle Rappresentanze Sindacali Unitarie ( RSU) costituite in ogni unità produttiva e non anche da altri organismi diversi costituitisi in virtù del principio di libertà sindacale nei luoghi di lavoro di cui all'art. 14 L. 300/70, proprio perché si riconosce a quei diritti sindacali tipizzati nel titolo III il carattere di riservatezza ( Corte Cost. 16 maggio 1995, n. 170).
Per effetto del Protocollo del 23.7.1993 ( e del successivo accordo interconfederale del 22.12.1993) le prerogative previste al titolo III (dell'attività sindacale) dello stesso Statuto dei Lavoratori sono state trasferite dalle Rsa alle Rsu.
La diversa struttura di quest'ultime, unita anche alla modalità di trasferimento della titolarità dei diritti sindacali, ha determinato l'insorgere di non poche problematiche di natura applicativa concernente il potere di convocazione dell'assemblea sindacale; la questione , nella pratica, è rivolta alla modalità del relativo diritto qui in oggetto, ovvero se possa essere esercitato direttamente dal singolo componente della rappresentanza unitaria, ovvero in maniera collegiale. Detta diatriba ha dato vita a due diversi indirizzi giurisprudenziali che verranno qui di seguito esposti e che saranno oggetto di una prossima questione riguardo la quale le Sez. Unite della Corte di cassazione dovranno pronunciarsi.
Gli odierni orientamenti giurisprudenziali in materia di Assemblea sindacale.
1) La titolarità collegiale del diritto di convocare l'assemblea.
Secondo questo orientamento, la legittimazione ad indire l'assemblea andrebbe riconosciuta unicamente alla RSU nella sua interezza ed esercitata a maggioranza dei suoi membri. In questo modo si verrebbe così ad escludere che il diritto di assemblea possa essere esercitato da una singola componente della stessa rsu, interpretando così il vecchio accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 e un contratto nazionale, ad esempio, che assegnavano 7 ore di assemblea alla R.s.u. collegialmente intesa e le restanti 3 ore ai sindacati stipulanti il contratto collettivo (Cass. 26 febbraio 2002, n. 2855). Conforme a tale orientamento, è stato poi deciso che anche queste tre ore spettano alle organizzazioni stipulanti tutte insieme e non anche a ciascuna di esse (Cass. 14 ottobre 2009, n. 21783); orientamento peraltro condiviso anche per il pubblico impiego, secondo cui l'accordo stipulato tra le parti è stato interpretato nel senso che il diritto alla convocazione spetta solo alla r.s.u. come struttura collegiale (Cass. 16 febbraio 2005, n. 3072 , MGL, 2005, 428).
Nel Pubblico impiego, settore che si discosta in parte dalle previsioni normative del settore privato, la tesi della convocazione in forma collettiva è stata parimenti oggetto di discussione, ma si è affermata con più facilità grazie alla disponibilità di un quadro normativo più univoco (Cfr. Trib. Milano, 26.11.2008, in Riv. Impiego e dirigenza pubblica. 2009, 79; Cass. 16.2.2005, n. 3072). La normativa di riferimento è, infatti, contenuta in parte nell'art. 42, comma 6, d. lg. N. 165/2001 ed in parte nell'Accordo quadro collettivo del 7 agosto 1998 ( accordo intervenuto ai sensi dello stesso art. 42, comma 6, d.lgs n. 165/2001, nella parte in cui demanda agli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione ed il funzionamento dell'organismo il compito di stabilire i "criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle RSA".
L'insieme di regole, di fonte legale e di natura negoziale, conferma dunque che le rappresentanze unitarie del personale vanno considerate come organismi di natura collegiale e, come tale, anche il loro funzionamento deve rispettare tal forma. Proprio con riferimento a questa previsione, l'art. 8 , comma 1 dei relativi accordi prevede espressamente che le decisioni riguardanti le attività della RSU sono assunte a maggioranza dei componenti (detta disposizione, peraltro, è stata oggetto di un successivo accordo di interpretazione autentica, siglato il 6 aprile 2004 che, conferisce all'organismo RSU qualifica di soggetto sindacale unitario , il quale rimane destinatario dell'applicazione delle regole tipiche degli organismi collegiali), mentre l'art. 42 del T.U. sul pubblico impiego dispone l'equiparazione dei componenti della stessa rsu ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali uti singuli;
2) La singola titolarità del diritto di convocazione dell'assemblea sindacale.
Quasi contemporaneamente si è andato sviluppando un secondo indirizzo che afferma la possibilità di esercitare il diritto di convocazione dell'assemblea sindacale non in via collegiale , bensì singolarmente. Così ad esempio,basti indicare nella giurisprudenza di merito , ad esempio, il Decreto n. 284 del 14.3.2002 emesso dal Tribunale di Milano a seguito di procedimento ex art. 28 L. 300/70 ( condotta antisindacale) proposto da UniCobas sindacato della sanità contro la struttura ospedaliera" Ospedale Maggiore di Milano" per non aver, quest'ultima, concesso i locali idonei allo svolgimento dell'assemblea sindacale richiesta. Il riconoscimento da parte del giudice di prime cure di una condotta antisindacale tenuta dall'amministrazione della struttura pubblica ( con relativo invito a cessare tale condotta e rimuovere tutti gli effetti a seguito della pronuncia ) ha trovato fondamento non nel carattere unitario degli organismi rsu così come successivamente stabilito dalla Suprema Corte, ma esclusivamente nel tenore letterale della normativa di riferimento.
Infatti, lo stesso Giudice , argomentava la sua decisione considerando " che per il preciso collegamento stabilito tra le riportate disposizioni del contratto collettivo nazionale quadro risulta testualmente stabilita la legittimazione dei componenti delle RSU ad indire le assemblee "singolarmente o congiuntamente" (espressione questa singolarmente identica a quella dell'art. 20 Stat. Lav.) e che questo dato letterale non può essere disatteso attraverso il collegamento con gli artt. 5 ed 8 del coevo accordo collettivo quadro "per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale" ( l'art. 5 al punto 4 stabilisce: "In favore delle RSU sono, pertanto garantiti complessivamente i seguenti diritti: a) diritto ai permessi retribuiti; diritto ai permessi non retribuiti...; c) diritto ad indire l'assemblea dei lavoratori; d) diritto ai locali e di affissione secondo le vìgenti disposizioni." e l'art. 8 al punto 1 "Le decisioni relative all'attività della RSU sono assunte a maggioranza dei componenti") in quanto nessun elemento letterale o logico come del resto nessun canone ermeneutico operando l'art. 1363 cod. civ. nell'ambito del contratto - depone per tale collegamento ed in senso contrario militano sia la diversità degli oggetti e delle finalità, dell'accordo e del contratto collettivo risultante dai relativi titoli più sopra riportati,, sia il rilievo che solo il contratto collettivo prende in considerazione le prerogative dei componenti della RSU mentre l'accordo all'art. 5, punto 4 con l'avverbio "complessivamente" fa riferimento al complesso dei diritti alcuni dei quali non riferibili alla RSU unitariamente considerati, ed all'art. 8, punto 1 disciplina la attività della RSU e non l'esercizio delle prerogative sindacali dei componenti nei cui confronti il criterio della maggioranza porterebbe ad escludere o limitare le iniziative sindacali del componente o dei componenti in minoranza, il che peraltro mal si concilia con la previsione dell'art. 2, punto 2 del contratto collettivo secondo cui le assemblee possono riguardare anche soltanto gruppi di lavoratori ed avere ad oggetto materie di interesse sindacale (non necessariamente comuni a tutti i sindacati); rilevando che" altresì che la suesposta interpretazione della normativa del contratto collettivo nazionale quadro 7 agosto 1998 — già accolta dal Tribunale con ordinanza collegiale 13 luglio 1999 in causa Comune dì Milano contro Saggese e con sentenza inter partes 27 marzo 2000 n. 870 nonché dalla Corte d'appello dì Milano con sentenza 26 ottobre 2001 n. 614 ove opportunamente si precisa che quanto all'obiezione di carattere pratico secondo cui il riconoscimento del diritto di indire l'assemblea ai singoli componenti della RSU comporterebbe una eccessiva proliferazione di convocazioni, " è facile osservare che il limite annuo pro capite delle ore retribuite che i dipendenti hanno a disposizione per la partecipazione ad assemblee, costituisce un idoneo filtro" non pone questioni di compatibilità con le già esaminate discipline legale e contrattuale, e che la contraria interpretazione di parte resistente non considera che il legislatore per il settore del pubblico impiego ha stabilito la autonoma rilevanza e la specifica funzione dei componenti della RSU con l'art. 47, comma 6 del D. Lgs. n. 29/1993, le sue successive sostituzioni e, da ultimo, con l'art. 42 del D. Lgs. n. 165/2001 secondo cui "i componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni e del presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferiti ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alla rappresentanze sindacali aziendali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o che vi aderiscano" ; ed ancora, "che parte resistente fa altresì leva sul disposto dell'art.. 2, punto 2 del CCNL 20 settembre 2001 integrativo del CCNL del personale del comparto Sanità 7 aprile 1999 che recita: "Le assemblee che riguardano la generalità dei dipendenti o gruppi di essi possono essere indette con specifico ordine del giorno su materie dì interesse sindacale del lavoro: singolarmente o congiuntamente da una o più organizzazioni sindacali rappresentative nel comparto ai sensi dell'art. 1, comma 5 del CCNQ del 9 agosto 2000 sulle prerogative sindacali; dalla R.S.U. nel suo complesso e non dai singoli componenti, con le modalità dell'art. 8, comma I dell'accordo quadro sulla elezione delle RSU del 7 agosto 1998; - da una o più organizzazioni sindacali rappresentative del comparto, di cui al primo alinea, congiuntamente con la RSU".
Successivamente, tale indirizzo è stato confermato dalla Suprema Corte con decisioni per le quali il diritto di assemblea può essere riconosciuto anche alle singole sigle sindacali che fanno parte della RSU, a patto che siano sigle dotate di adeguata rappresentatività in seno all'azienda ai sensi dell'art. 19 dello Statuto dei Lavoratori. La stessa Suprema Corte ha voluto precisare, in altre pronunce, , che la legge tuttavia non vieta che un accordo collettivo possa attribuire il diritto di convocazione dell'assemblea a ciascun componente della r.s.u. costituita ( Cass. 1' febbraio 2005, n.1892, MGL, 2005, 228). Più recentemente, gli stessi Ermellini, aderendo a tale indirizzo hanno confermato, con sentenza 15437 del 7 luglio 2014 che" il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della stessa, purché eletto nelle liste di un sindacato che, nella azienda di riferimento, sia di fatto dotato di rappresentatività ai sensi dell'art. 19 dello statuto dei lavoratori." ." Il caso era quello di un'organizzazione sindacale non firmataria del ccnl applicato in azienda, che presentò ricorso ex articolo 28 L. 300/70 per sentir dichiarare l'antisindacalità del comportamento della società, consistente nella reiterata negazione – a un membro della Rsu, eletto nelle liste della stessa sigla sindacale ricorrente – del diritto di indire assemblee.
La domanda del sindacato era respinta dalla Corte d'appello, che riteneva non potessero considerarsi titolari del diritto i membri delle Rsu istituite dall'accordo interconfederale del 1993, visto che l'articolo 4 di tale accordo stabilisce che i vari componenti delle Rsu "subentrano ai dirigenti delle Rsa nella titolarità dei diritti, permessi e di libertà sindacali e tutele già loro apprestate"; d'altra parte, il medesimo articolo 4, al comma 5, prevede la sussistenza del diritto a indire, singolarmente o congiuntamente l'assemblea dei lavoratori, "in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il ccnl applicato nell'unità produttiva", il che significherebbe – secondo i giudici di appello – che conserva la prerogativa originariamente stabilita dall'articolo 20 dello Statuto dei lavoratori alle sole strutture periferiche aziendali dei sindacati stipulanti il contratto di lavoro.
Adita la Suprema Corte, quest'ultima accoglieva il ricorso dell'organizzazione . Secondo i Giudici di legittimità, l'accordo interconfederale non conteneva alcun dato testuale che facesse ritenere che il riconoscimento pattizio delle prerogative sindacali di cui si trattava sia limitato solo a quelle attribuite ai dirigenti delle Rsa e non si estenda anche a quelle riconosciute alle Rsa come organismi rappresentativi (quale il diritto di indire l'assemblea).
Più precisamente, la Suprema Corte riteneva che "delle Rsu non è predicata la natura di organismi a funzionamento collegiale, sicché non vi è ragione per non ritenere che alle Rsu siano state pattiziamente riconosciute le prerogative sindacali delle Rsa tutte, cioè sia quelle riferibili alla singola Rsa, sia quelle attribuite ai suoi dirigenti; e tra queste prerogative è compreso anche il diritto di indire l'assemblea sindacale", per arrivare a considerare in via definitiva, che"se la prerogativa prevista dall'articolo 20 dello Statuto in favore delle Rsa non richiedeva che l'indizione dell'assemblea fosse necessariamente congiunta, la speculare prerogativa pattizia prevista dal citato articolo 4, che recava il riconoscimento del diritto di indire "singolarmente o congiuntamente" l'assemblea dei lavoratori, non può che essere intesa come ripetitiva di questa duplice modalità di convocazione.
ANALISI CONCLUSIVE
Il proliferare di ricorsi ex art. 28 L. 300/70 (condotta antisindacale) da parte delle associazioni sindacali legittimate necessita a questo punto di un chiaro ed univoco orientamento giurisprudenziale al fine di poter vedere esercitati in modo corretto sia i diritti sindacali di cui al titolo III dello Statuto dei Lavoratori, sia una corretta ed armoniosa politica delle relazioni sindacali. Tale necessità verrà a questo punto, come già precedentemente indicato, soddisfatta grazie all'ordinanza della Corte di Cassazione n. 24443 del 30 novembre 2016 di rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale passaggio alle Sezioni Unite, sulla base di un ricorso in Cassazione da parte di un'azienda ( nel caso di specie , Alenia Aeronautica s.p.a) avverso la decisione della Corte d'Appello di Napoli di accogliere la domanda di riconoscimento di condotta antisindacale (consistita precedentemente nel mancato accoglimento della richiesta di assemblea retribuita avanzata dalla stessa parte ricorrente avanzata dalla locale segreteria FIOM CGIL ) , precedentemente respinta dal Giudice di prime cure ( Trib. di Nola) che motivava la propria decisione riconoscendo la legittimazione ex art. 20 Statuto dei Lavoratori all'organismo in composizione collegiale e non in composizione unitaria.