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Nel caso in cui il sindacato richieda alcune informazioni al datore di lavoro, quest’ultimo può legittimamente rifiutarle?

Nel nostro ordinamento giuridico non esiste, in generale, un dirittodiinformazione a favore del sindacato e delle sue rappresentanze aziendali. Pertanto, in mancanza di un simile riconoscimento, il sindacato che nonottengarisposta alle proprie richieste può solamente far ricorso alla propria forza e agli strumenti di lotta di cui egli dispone (primo tra tutti, lo sciopero), per indurre il datore di lavoro a rendere le informazioni richieste.

 

Visono peròdei casi in cui è specificamente previsto l’obbligo del datore di lavoro di rendere certe informazioni al sindacato o alla sua rappresentanza aziendale. Questi casi sono innanzi tutto contemplati dalla legge, che – per esempio – prevede il dirittodiinformazione a fronte della decisione del datore di lavoro di adottare provvedimenti a forte impatto sui lavoratori: ciò accade, tra l’altro, nel caso in cui il datore di lavoro intenda mettere i lavoratori in mobilità, o sospenderli in cassa integrazione o, ancora, trasferire la propria azienda o un ramo autonomo di essa.

Altri dirittidiinformazione sono invece previsti dalla contrattazione collettiva, in particolare di categoria. I dirittidiinformazione di origine contrattuale sono dunque inevitabilmente piuttosto numerosi e, naturalmente, si applicano solo al sindacato di riferimento del contratto che ne costituisce la fonte. Per esempio, i contratti di categoria possono prevedere dirittidiinformazione in tema di fruizione dei permessi per riduzione dell’orario di lavoro, o di individuazione del periodo feriale, o di superamento di certi limiti di lavoro straordinario, eccetera.

Come si vede, dunque, a dispetto del principio generale sopra indicato,di fattoi diritti di informazione del sindacato, derivino essi dalla legge o dal contratto, sono piuttosto numerosi e, comunque, posti a salvaguardia degli aspetti più significativi del rapporto di lavoro.

In tutti i casi in cui il sindacato, o la sua rappresentanza aziendale, sia titolare di un dirittodiinformazione, a prescindere dal fatto che esso derivi dalla legge o dal contratto, il datore di lavoro è obbligato a renderla. La sanzione prevista dall’ordinamento nei confronti del datore di lavoro inadempiente è la condanna per condotta antisindacale, prevista dall’art. 28 S.L..Infatti, si ritiene che la violazione di un diritto del sindacato possegga di per sé quella caratteristica, tanto più se si considera che, a seguito della violazione dell’obbligo in questione, il sindacato perde in credibilità agli occhi dei propri rappresentati e, comunque, gli si preclude in radice di svolgere il ruolo di interlocutore del datore di lavoro in un caso in cui la stessa legge, o il contratto collettivo, lo impone come tale.

Naturalmente, la condanna per condotta antisindacale non è fine a se stessa, ma ha importanti conseguenze finalizzate a salvaguardare il diritto cheera statoleso.Infatti, il già citato art. 28 dispone che il giudice, accertata la natura antisindacale di un certo comportamento, disponga anche la rimozione dei suoi effetti. Ciò, nel caso di cui si sta parlando, in particolare significa che il giudice può ordinare al datore di lavoro di rendere le informazioni che erano state negate.

In alcuni casi, la conseguenza è ancora più efficace,dal momento cheil giudice può addirittura revocare il provvedimento che era stato adottato in assenza della preventiva informazione. Questo è in particolare il caso della mobilità o della cassa integrazione: in casi come questi, il giudice, accertato che il datore di lavoro ha disposto la mobilità o la cassa integrazione senza aver preventivamente informato il sindacato, disponelaimmediata riammissione in servizio dei lavoratori licenziati o sospesi.

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