Nel caso esaminato della Suprema Corte, una porta lettere, affetta da periartrite cronica scapolo omerale bilaterale, aveva ottenuto in primo e secondo grado il risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale patito, nella misura di € 36.000,00, in quanto le lesioni lamentate sono state ascritte alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro, Poste Italiane s.p.a.
In particolare, i giudici del merito hanno sottolineato che alla lavoratrice era stata assegnata una zona in centro città ove il recapito veniva effettuato a piedi, tra l’altro con peso della corrispondenza superiore a quello di altre zone, e hanno evidenziato l’idoneità di atti ripetitivi, quali quello di sollevamento e abbassamento del borsone, ad ingenerare il quadro patologico lamentato.
Il datore di lavoro ha, pertanto, proposto ricorso in Cassazione sottolineando che non “è sufficiente la sussistenza di una malattia professionale a determinare la responsabilità del datore di lavoro, in quanto l’art. 2087 non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva” e pertanto è onere del lavoratore provare l’inadempimento colposo del datore di lavoro nonché il nesso di causalità tra l’uno e l’altro.
Nella fattispecie, sostiene il datore di lavoro, le modalità di svolgimento della prestazione da parte della lavoratrice sarebbero state determinate arbitrariamente dalla stessa, in violazione delle direttive ricevute che imponevano l’utilizzo dei motoveicolo aziendale, o previa autorizzazione, dell’autovettura personale, con conseguente, quantomeno, concorso di colpa.
Per il giudice di legittimità, tuttavia, la sentenza, richiamando i dati dell’istruttoria, ha valorizzato gli elementi su cui si fonda il giudizio di responsabilità datoriale (con ciò escludendo la responsabilità oggettiva) ed in particolare: l’epoca della messa a disposizione della lavoratrice dei carrelli per trasporto dei borsone, la mancanza di sottoposizione a visite periodiche, l’adozione tardiva dei documento di valutazione dei rischi, le caratteristiche della zona a intenso traffico cui era stata adibita la lavoratrice.
Inoltre, la statuizione non è censurabile mediante una diversa lettura delle medesime risultanze processuali: infatti, secondo giurisprudenza costante, il controllo di logicità dei giudizio di fatto (di cui all’art 360 n. 5 c.p.c.) non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice dei merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, in quanto una simile revisione si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito. |