La prima volta non si scorda mai. E chi c’era racconta di un’atmosfera da invenzione del cinema muto: entusiasmo, applausi, persino richieste di bis. Come davanti al cinématographe dei fratelli Lumière. Era il 20 aprile 2007. Al Teatro dell’Opera di Roma andava in scena “La Traviata”, con la regia di Franco Zeffirelli. E in 25 sale d’Italia si replicava l’emozione della prima: l’opera lirica, live, sul grande schermo. In alta definizione, grazie alla più sofisticata tecnologia digitale.
Oggi il fenomeno è una realtà consolidata, con un pubblico di appassionati e con un’offerta varia, in diretta dai teatri più prestigiosi del mondo: dalla Royal Opera House di Covent Garden, Londra, alla Berliner Philarmoniker; dal Bolshoi di Mosca alla Scala. Società di distribuzione (Microcinema, Nexo, Qmi) collegate alle diverse stagioni teatrali fanno da trait d’union tra produzioni e sale cinematografiche. E i risultati arrivano: l’opera “Le Nozze di Figaro”, proiettata in diretta dal Metropolitan Opera di New York, è valsa, in Italia, per una serata sola 72 mila euro al botteghino. “Il Barbiere di Siviglia”, sempre da New York, proiettato in 80 sale, ha portato 86.000 euro in più. “Carmen” ha fatto guadagnare 84 mila euro. Ma più delle cifre, è il trend l’aspetto che conta: secondo Microcinema, dal 2012 a oggi c’è stato un incremento del 93 per cento di biglietti staccati. Con diversi exploit: “Lo Schiaccianoci”, trasmesso in diretta dalla Royal Opera House, ha avuto 50 mila spettatori in Italia. Presenze che su scala internazionale lievitano: nel mondo, hanno visto lo stesso spettacolo, fuori dal teatro, 2 milioni e 700 mila persone.
Mentre in tutta Europa, e in Italia specialmente, si registra il calo di partecipazione alle attività culturali - le spese in cultura sono il 7 per cento della spesa totale di un italiano; al cinema va sempre meno gente (-5.6 per cento tra il 2012 e il 2013), in controtendenza resistono solo gli spettacoli di musica classica (cresciuti del 16,7 per cento, dati Federculture) - l’opera al cinema è una potenzialità che cattura l’interesse di tutti: dei teatri, che ampliano le loro platee. Degli esercenti cinematografici, che riempiono le sale nei giorni meno affollati. E dei cantanti stessi: che godono di un salto di visibilità finora impensabile: «Sappiamo che per gli artisti la serata della ripresa cinematografica ha ormai superato, per emozione, quella della prima», racconta Giovanni Cova, presidente di Qmi, che distribuisce le opere liriche della Royal Opera House: «Perché sono consapevoli di andare incontro a una platea sterminata». E di un’attenzione che, inevitabilmente ma per la prima volta, si sposta dall’orecchio allo sguardo: primi piani, zoom sulle espressioni, sulla grinta, sulla fatica di un virtuosismo. Risalto al dettaglio che neppure un posto in prima fila è in grado di catturare: l’opera al cinema è un altro modo di raccontare. Ed è questa la vera novità: come cambia la produzione teatrale. Quanto la digitalizzazione influisce sulla messa in scena? E cosa resta dell’esperienza di uno spettacolo a teatro?
«Tutta la produzione ne è condizionata sin dall’origine, per garantire la migliore resa cinematografica», scandisce Cova: «I cantanti, ad esempio, sanno di dover curare di più la parte recitativa, che all’opera conta meno: sullo schermo, invece, è molto importante perché aiuta a comprendere il testo. Il pubblico trova l’esperienza emozionante, perché è come essere in teatro, la sera della prima, ma a chilometri di distanza». «Siamo davanti a una profonda rivoluzione, sia del teatro lirico che del cinema: un mutamento radicale dal punto di vista dell’ascolto e della fruizione dell’elemento musicale. Sono decisamente favorevole all’opera al cinema», interviene il critico musicale Giovanni Carli Ballola. «C’è un pubblico nuovo, più giovane, che apprezza. I teatri lirici, piaccia o non piaccia, si dovranno adattare al video e all’audio cinematografico. E anche i critici più arroccati dovranno rivedere il loro atteggiamento: il mondo cambia. E questa è per l’opera un’opportunità di rilancio: se non vuole morire, deve sapersi rinnovare. Certo, il cambiamento non ha ancora le parole per essere raccontato, e alla critica mancano i termini di giudizio. Lo stesso oggetto davanti al quale ci troviamo, e che chiamiamo ancora “opera lirica”, ne esce profondamente trasformato: sarà un’opera “cinematografizzata?”. Non escludo neanche che in futuro ne sia condizionata la scelta degli attori: privilegiando figure esteticamente più adatte al cinema».
Dell’evoluzione i diretti interessati sono perfettamente consapevoli. A Covent Garden, dove l’esperienza dell’opera live al cinema è iniziata nel 2008, RHO Live Cinema è dal 2011 una stagione di produzioni ad hoc, che consente di allargare il teatro da 2.200 posti a circa 700 mila spettatori “in remoto”. Per non parlare di altre positive conseguenze: le riproduzioni degli spettacoli sono così apprezzate da finire spesso in vetta alle classifiche inglesi dei dvd. Proprio a Londra la sartoria del teatro è al lavoro per rinnovare gli abiti di scena: costumi storici, in tessuti non sempre adeguati alla ripresa in alta definizione, vengono riadattati alla luce delle esigenze cinematografiche.
«Con la definizione del digitale, la sartoria è interamente da rifare», interviene la costumista Eva Coen. «Nelle opere liriche si indossano abiti pensati per la lunga distanza: tessuti, spesso sintetici, che assorbono la luce e la riflettono. Si privilegiano i cromatismi accentuati: il blu cobalto, il verde smeraldo, il rosso rubino, gli ori e gli argenti, colori amati a teatro e molto impiegati. Colori saturi, piatti e pieni: impensabili per il cinema, dove devi creare una tessitura, delle ombreggiature e, in generale, un effetto di grande realismo. A teatro, al contrario, è proprio la finzione a determinare un maggiore impatto. Anche l’invecchiamento è un problema: se a teatro aggiunge fascino, al cinema, dove il diktat è di realizzare una modernità dell’antico, l’effetto non è per niente piacevole».
Al Metropolitan di New York una divisione dedicata all’opera live al cinema (www.metopera.org), guidata dal general manager Peter Gelb, cura i minimi dettagli delle riprese. E i risultati rappresentano il format a cui ispirarsi: dietro le quinte, prima e dopo gli spettacoli, affidati a professionisti; uno sguardo ai tecnici al lavoro; le scenografie che cambiano sotto gli occhi dello spettatore; la possibilità di interagire, attraverso i social network. E, come contenuti aggiuntivi ai quali il mondo dell’home video ci ha abituati, interviste ai protagonisti, tra un atto e l’altro.
E il nastro narrativo cambia totalmente, per incontrare il piacere di chi guarda», aggiunge Silvana Molino, amministratore delegato di Microcinema, pioniera dei contenuti complementari al cinema (12 eventi live e un pubblico di 250 mila spettatori): «Il trucco deve essere diverso, più naturale e meno pesante. Anche le luci sono posizionate in modo dfferente. La ripresa cinematografica non ha snaturato l’opera, ma ha richiesto accorgimenti per renderla più fruibile. In passato, i melomani storcevano il naso e non nascondevano la loro diffidenza: sostenevano che l’opera al cinema snaturasse lo spettacolo originario. Oggi il pubblico è cambiato. L’opera al cinema va incontro a nuovi spettatori, rendendo la lirica più informale e accessibile, anche grazie all’uso dei sottotitoli. È uno spettacolo che vedi in jeans. A un prezzo decisamente diverso che a teatro». «Rispetto ad altri contenuti che i cinema stanno proponendo, come eventi dai musei o concerti rock, è un mercato di nicchia», nota Franco Di Sarro, amministratore delegato di Nexo Digital, che distribuisce lirica a circa 400 sale. «Il pubblico è cresciuto, ma l’Italia resta fanalino di coda in Europa. Forse perché i cultori dell’opera sono un pubblico difficile e il genere è molto radicato. In più, abbiamo una tradizione “fisica” forte, con teatri in ogni città. Non facciamo i grandi numeri di altri Paesi -l’opera al cinema ha enorme successo in Sudamerica- ma di certo è un fenomeno da tenere d’occhio».
Gli osservatori di esperienze consolidate come quelle inglesi e americane sono pronti a spazzare gli ultimi dubbi: non solo l’opera al cinema non “cannibalizza” il pubblico dei teatri, coinvolgendo anzi un’audience del tutto diversa. Soprattutto, fa riscoprire la sala cinematografica come luogo di socialità: perché assistere a un’opera al cinema è ben diverso che seguirla in un solitario live streaming da casa, su Internet. Colgono al volo l’opportunità i cinema di provincia, dove si annidano i più appassionati melomani. E, tra un atto e l’altro, spuntano i cocktail al posto del popcorn.
Prossimi appuntamenti “Andrea Chénier”, direttore Antonio Pappano, in 80 sale italiane, dalla Royal Opera di Londra (29 gennaio). E, dal Metropolitan di New York, “I Racconti di Hoffmann”, diretto dal canadese Yves Abel (3 febbraio).